Mattia Moreni, Un pezzo di argine di san Giacomo con un albero dietro, 1964, galleria Il Ponte
Mattia Moreni, L’agonia dell'anguria allunata su pelliccia, 1970, galleria Il Ponte
Mattia Moreni, Il cubo alienato non cuba più - Regressito consapevole, 1986, galleria Il Ponte
MATTIA MORENI Mostra 2019
Giornale

Mattia Moreni nasce nel 1920 a Pavia e muore nel 1999 a Brisighella (ivi stabilitosi dal 1966). Fin dalla metà degli anni Trenta Moreni privilegia una visione naturalistica di cose, figure, case, paesaggi a cui si aggiunge il ritratto verso gli anni Quaranta. Un linguaggio che si sviluppa durante gli studi all’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dove propone immagini a carattere introspettivo con accenti espressionisti. Al 1946 risale la sua prima mostra personale alla galleria La Bussola di Torino, con dipinti e disegni del periodo in cui un espressionismo visionario ed evocazioni destabilizzanti si concretizzano in immagini di composizioni ravvicinate di frutta o animali. Da questi studi risaltano alcuni aspetti importanti per il suo successivo percorso: la propensione a proporre immagini totalizzanti, dalla prospettiva non profonda, ma affollate dalla “presenza ingigantita degli oggetti” e un fremito deformativo espressionista che andrà “ben oltre l’ordine dialettale e illustrativo e folcloristico” di locali derivazioni “da esemplari nordici o più propriamente fiamminghi”. Dalla seconda metà degli anni Quaranta Moreni si apre ad un dialogo più internazionale, affascinato da stimoli neocubisti in chiave non-figurativa. Nel 1948-49 la sua ricerca volge ad una sintesi astrattiva (Galleria del Milione, Milano, ’47 e ’49; Biennale di Venezia, 1950) e il suo linguaggio ha un riconoscimento internazionale con la partecipazione alla Biennale di San Paolo in Brasile (1951) e alla Mostra Nazionale d’Arte Contemporanea a Milano (1952).
Dopo un periodo torinese durante il quale l’artista si accosta dunque a certo espressionismo e dopo una adesione al postcubismo, entra a far parte del “Gruppo degli Otto” (insieme ad Afro Basaldella, Renato Birolli, Antonio Corpora, Ennio Morlotti, Giuseppe Santomaso, Giulio Turcato ed Emilio Vedova) che, sotto l’egida di Lionello Venturi, si propone di superare la spaccatura avvenuta nel 1950 tra realisti e astrattisti con il termine dell’esperienza del “Fronte nuovo delle arti”. In nome del superamento di questa antimonia, il gruppo espone alla Biennale di Venezia del 1952 proponendo una pittura astratto-concreta. Moreni è tra i primi a recepire la novità delle tematiche informali.
In questi anni, fino ai primi Sessanta, l’artista entra in un nuovo livello di tensione emotiva confrontandosi con una natura primitiva e selvaggia che incontra dal vivo con molteplici soggiorni in Romagna e Lazio; natura resa attraverso una forza espressiva di strutture macrosegniche e risalti cromatici accesi, in una valenza materico-gestuale del colore, di pertinenza linguistica Informale.
In una decina di anni Moreni è considerato fra i protagonisti più giovani dell’Informale europeo; si susseguono riconoscimenti a livelli internazionale e le partecipazioni alla Biennale di San Paolo in Brasile (’53 e ’54) e a Documenta a Kassel (’55). Alla metà degli anni Cinquanta (1956), per un decennio, si trasferisce a Parigi dove conosce Michel Tapié ed espone alla Galerie Rive Droite con i maggiori esponenti dell’Informale. I dipinti da questa metà anni Cinquanta sono caratterizzati da una gestualità segnico-materica (Biennale di Venezia, 1956; Documenta, Kassel, 1959). Nel ’60, il gestualismo materico tende ad addensarsi e torna ricinoscibile la forma; dai simulacri di figure umane si passa ad alberi, da nuvole a cartelli, baracche e campi, angurie (Museo Morsbroich, Leverkusen, ’63; Kunstverein, Amburgo, ’64; Museo Civico, Bologna, ’65), quest’ultime protagoniste di questa stagione post-informale (Biennale di Venezia, ’72; Pinacoteca Comunale, Ravenna, ’75). Moreni indaga la decadenza della società contemporanea, tra Eros e Thanatos: decadimento, morte e splendore diventano i temi dei suoi lavori dai toni mai tristi. Su questo filone si inserisce la Pelliccia, nuova presenza iconica ed evocazione erotica; si compie un’evoluzione nel suo linguaggio pittorico, un raffinamento di modalità e consistenza di stesure che lo accompagnano poi verso la fine del suo percorso artistico. Nella decadenza della specie umana si inseriscono macro sessi femminili e l’abbinamento umanoide-computer per arrivare al ciclo delle Atrofiche e grandi Marilù in tele di grande formato e di qualità pittorica virtuosistica (Santa Sofia di Romagna, ’85 e ’91). Nel 1983 l’artista si cimenta nella teatralizzazione pittorica della dimostrazione analitica della “regressione della specie e belle arti” che sfocia in una serie di immagini schematiche, scritte con gestualità pittorica umoristica: Pattumiere (’83-’84), Tubi (’84), Lampadine (’84-’85), Geometrie indisciplinate (’84-’86), una cui esemplificazione si vede in una personale del 1987-88 a Milano, nelle cui opere Moreni sperimenta anche nuovi cromatismi, più audaci e gridati (Arezzo, 1989; Parigi, 1990). Tra la metà degli anni Ottanta e metà Novanta, l’artista si dedica all’autoraffigurazione, con una serie di Autoritratti denuncianti un’evoluzione tematico-linguistica, corredati da una scrittura corsiva dell’immagine e privi di una corresponsione cronologica (trattandosi del suo passato, ma anche di un ipotetico futuro); anche in questa fase, ad avere la meglio è sempre la forza espressiva, più che l’individuazione psico-somatica propria (XXIX Premio Campigna, Santa Sofia di Romagna, 1985; e ancora nella stessa sede, 1991 e 1992), per giungere ad una semplificazione nei rapporti immagine-fondo-scrittura che conduce all’essenzialità della figurazione di Umanoidi (1993), al cui ampio ciclo vengono dedicate due personali del 1994-95: la nuova somatica è resa da una scatola tecnologica, alludente al computer, sostitutiva di volto e mente dell’uomo (Ravenna, 1996; Faenza, 1999). […] “Moreni dipinge la premonizione che l’arte, avviata ad un futuro elettronico e digitale, non sarà più la stessa. Così come l’uomo, ormai una cosa sola col computer” (Claudio Spadoni). Nei lavori degli ultimi anni, 1997, 1998, 1999, spuntano braccia, gambe e piedi, o “scarpe di moda”, o frutti: una “pera meccanica”, “elettronica”; oggetti come un tavolo o un’automobile. Le opere di Mattia Moreni si trovano in molte collezioni di musei italiani e internazionali tra i quali, per citarne alcuni: la GNAM di Roma, il Mart di Trento e Rovereto, il MamBo di Bologna, la Galleria degli Uffizi di Firenze, il Museo del Novecento di Milano, la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino, il Museo d’Arte della città di Ravenna; il VAF-Stiftung di Francoforte, il Museu de Arte Moderna e il Museo de Arte a Sao Paulo del Brasile, la Galleria d’Arte Vero Stoppioni di Santa Sofia, il Musee d’Art Moderne et d’Art Contemporain di Liegi, la Nationalgalerie di Berlino, il Museum Morsbroich di Leverkusen. Nel 2016 viene realizzato il catalogo generale di Mattia Moreni, a cura di Enrico Crispolti ed edito da Sivana Editoriale, con l’aiuto della Galleria d’Arte Maggiore di Bologna (sede dell’archivio dell’opera dell’artista dal 1999) che ne ha curato molte mostre: Mattia Moreni – Apparizione del Narciso e Mattia Moreni – L’ultimo grido, sede di Bologna (2005), Preludio – Primo decennio 1941-1953, Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo, (2008), Mattia Moreni – Il percorso interrotto. Ultimo decennio 1985-1998, Kunsthaus di Amburgo e negli Antichi Magazzini del Sale di Cervia (2008), Mattia Moreni – Ah! Quel Freud…, presso Galleria d’Arte Maggiore, Bologna (2016).
Nel 2019, la galleria Il Ponte di Firenze dedica all’artista la monografica Mattia Moreni dal Paesaggio al Computer |’50-’90.