MARINA BALLO CHARMET
Catalogo
Tatay
Mostra 2023
Biografia

MBC: …Volevo dei colori vivissimi e abbaglianti. È un po’ di tempo che pensavo a questa tematica, a questa idea del padre e della relazione con il piccolo e alla fine ho deciso di fare delle immagini che avessero una grande forza visiva, e che diventassero in qualche modo come delle icone. Da un lato c’è la pubblicità dall’altro c’è la foto di famiglia e ho cercato immagini di amici e non solo, di padri coi bambini. È stato un percorso lungo e a un certo punto ho anche pensato di dipingere sopra le fotografie, ma poi ho deciso di stare nel mio e ho scelto di non usare la pittura ma solo la fotografia, andando ad approfondire i colori. In questo percorso mi è venuto in mente di andare a rivedere l’uso del colore di Godard, i primi film ma soprattutto gli ultimi due Adieu au langage (2014) e Le livre d’image (2018). Li avevo visti a Parigi, e mi avevano molto colpito perché la sovraesposizione era proprio uno sfaldamento, e anche il colore intensissimo che Godard usa in questi ultimi lavori e la luce. Ho pensato che quello che cercavo era una cosa simile anche se nel film c’era il movimento ed era un’altra cosa. Effettivamente era importante per me cercare l’intensità del colore e la sovraesposizione e ho visto che funzionava perché venivano fuori delle immagini che non erano legate strettamente al contesto dove erano state fatte. Come spesso nei miei lavori precedenti ho trovato dei frammenti, che sono proprio delle zone di contatto dove c’è una vicinanza estrema e c’è il tentativo di riprendere qualcosa di molto forte relativo alla relazione affettiva precoce del padre col piccoletto: proprio la prima relazione. C’è anche qualcosa di ambiguo e quasi inquietante in certi casi, dato anche dall’uso dello sfaldamento del colore, della sovraesposizione e dal fuori fuoco. Cercavo un’immagine che va a toccare qualcosa che è molto profondo in noi e che è qualcosa di preconscio – come avevo anche scritto nel mio libro Con la coda dell’occhio. Scritti sulla fotografia. La fotografia che mi interessa è quella non tanto di tipo razionale, analitica e descrittiva ma quella che rimanda a un’esperienza percettiva forte.

MM: Però, al contrario di quanto fa Godard che utilizza immagini cui sovrappone parole non congrue con ciò che si vede, tu hai un tema identificabile. In altre parole, entrambi usate l’immagine che diventa abbacinante, quasi impossibile da guardare, per cui nel film il bianco succede magari a un rosso, per cui appare ancora più bianco, e nelle tue foto ci sono parti bianche che quasi impediscono di comprendere di che immagine si tratti, e tuttavia nel tuo caso esiste un soggetto che di per sé non è assolutamente distopico, ed anzi è fortemente significativo, come il rapporto tra padre e figlio…

MBC: È un lavoro proprio su quell’area, quella zona del contatto tra padre e figlio, proprio del loro corpo. Non è solo un lavoro sul padre ma su quella cosa meno definita costituita dalla loro relazione.
Il linguaggio che utilizzo e che ho utilizzato anche in precedenza, è in parte costituito dallo sfocato che non rende riconoscibile qualcosa, o almeno al primo momento. Ci sono tanti aspetti: c’è la vicinanza, il frammento, la zona, la sovraesposizione, il colore intensissimo. Col tempo e con le prove ne è uscito qualcosa che mi convince e che appartiene al non razionale. L’immagine è sempre qualcosa che va oltre. Qualcosa che rimanda al nostro preconscio. Credo che tutti questi aspetti insieme possano restituire bene quella particolare relazione che prima del “nuovo padre” era tipicamente la relazione della madre col bambino. Si può dire che forse negli ultimi tempi è quella che appartiene al padre e al piccolo. Qualcosa di primitivo, primordiale.